VILMOS ZSIGMOND – come cambia la fotografia cinematografica

VILMOS ZSIGMOND – come cambia la fotografia cinematografica

Abbiamo tradotto un interessantissimo punto di vista del grande cinematographer Vilmos Zsigmond postato su Facebook dal nostro amico Arnaldo Catinari.

Buona lettura.

Come sta cambiando la direzione della fotografìa,
secondo Vilmos Zsigmond (ASC).

Oggi siamo tutti DoP. Con qualsiasi mezzo di ripresa che ci si possa permettere: da un Alexa, ad una Red, ad una Sony od a una GoPro fino ad un Iphone, stiamo producendo una innumerevole quantità di immagini.

Questo è un grande momento per la cinematografia? E ‘ una buona domanda.
La recente fine della Kodak non è solo una questione di natura tecnica o economica, ma è anche un modello socioculturale che cambia. La facilità con la quale si possono produrre immagini digitali, porta alla erronea conclusione che un’immagine sia semplicemente una registrazione della realtà. In effetti, la ricchezza culturale nelle esperienze delle precedenti generazioni di DoP, fotografi, artisti grafici e plastici dovrebbe essere intesa come parte di ogni rappresentazione visiva.

I DoP vengono chiamati a dare il loro contributo per il gusto, e questo viene coltivato attraverso le loro esperienze di vita e la loro conoscenza del cinema, della musica, dell’arte, della letteratura, della fotografia… Tutto contribuisce a creare una prospettiva unica e personale. Quando entriamo nella pre-produzione di un progetto, utilizziamo queste esperienze per “modellare” l’immagine del film. Mi dispiace che a volte questo processo venga trascurato, lasciando l’aspetto visivo come qualcosa “in attesa di essere risolto” e da definire in post-produzione. Naturalmente non c’è niente di male a manipolare le immagini in post-produzione, soprattutto quando è piú efficace regolare l’immagine su una consolle di color grading piuttosto che sul set. Ma avere a disposizione questi potenti strumenti non deve significare limitare la nostra visione estetica del film fino a quando non entriamo nella fase di post-produzione. Gran parte dell’aspetto visivo di un film si sviluppa attraverso la stretta collaborazione tra regista, direttore della fotografia e art director (scenografo, ndr).
Per fare un esempio: se il set è dipinto con il colore sbagliato, diciamo troppo saturo, si sta perdendo fin dal principio la battaglia, quando poi dovremo ottenere una soddisfacente correzione del colore.

Con l’acquisizione digitale, e anche quando si lavora con il Digital Intermediate, diventa molto facile pensare l’immagine in termini più semplici: il contrasto, la saturazione e i profili del colore. Ma penso che questo comporta che troppo spesso ci si dimentica della texture e della definizione. La pellicola ha la texture organica della grana (pasta, ndr), che nel digitale semplicemente non esiste. Io non sono un purista della pellicola, ma penso che sia giusto dire che, con l’avvento di questi progressi radicali a cui la tecnologia digitale fa riferimento, è apparsa una sorta di omogeneizzazione dell’immagine a scapito del look e della texture. In questo contesto è uso comune esporre per ottenere un negativo digitale uniforme (evitando le alte luci e  mantenendo i dettagli nelle basse), molto definito, per disporre di maggiori possibilità durante il processo di correzione del colore e finire lì di creare il look del film. Tutti stanno seguendo questo metodo…

La pittura ha una grande influenza su di me. Quando posso vado per musei a vedere i classici, maestri tedeschi, Rembrandt e Georges de la Tour. Vedere questi dipinti è di grande ispirazione. Queste sono questioni fondamentali per noi che facciamo cinema, perché da loro possiamo imparare ad illuminare. Possiamo studiare i classici e cercare di usare le loro tecniche di illuminazione nel nostro lavoro di fotografia. Ho molti libri sulla pittura e sulla fotografia a casa. Quando girammo McCabe & Mrs. Miller (‘I compari“‘; regia Robert Altman), ho mostrato un libro di dipinti di Andrew Wyeth a Bob Altman e gli dissi: Cosa ne pensi di queste soavi e diffuse immagini color pastello? Gli piacquero. Poi ho portato quello stesso libro al laboratorio e ho spiegato ai colorist (al tempo del film i colorist erano chiamati grader, corrispondente al nostro datore luci, ndt) che quello era ció che stavamo cercando. Hanno capito subito. Aiuta sempre: un’immagine vale più di mille parole. Un’immagine può trasmettere immediatamente i tuoi sentimenti e le tue sensazioni rispetto a qualcosa.
Con l’acquisizione digitale siamo passati ad avere strumenti completamente differenti. Cambiando il processo fisico del laboratorio con quello dei computer, creando le possibilità per modificare l’immagine verso qualsiasi direzione si possa pensare durante la post. In un momento in cui la pellicola sta scomparendo così velocemente e il digitale sta crescendo tanto in qualitá di immagine, diventa importante per i direttori della fotografia utilizzare magistralmente questi nuovi strumenti.

Kickstart Theft è un film/trailer/cortometraggio di sette minuti sponsorizzato dalla Band Pro Film & Digital. E’ stato diretto da Frederic Goodich, (ASC) e io l’ho fotografato. Ha debuttato all’ IBC e al CINEC. La storia si basa sul film neorealista Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica, che fu fotografato con una Arriflex 2C da Carlo Montuori. Noi abbiamo utilizzato una Sony F65 e per me era la mia prima volta con questa macchina da presa. Come lenti abbiamo usato le Prime Leica Summilux-C e uno zoom Canon 30-300.
Volevamo lavorare il piú possibile con la luce naturale. Grazie alla tecnologia digitale abbiamo potuto esporre bene anche con poca luce (meno di un foot candle). In situazioni in cui il mio esposimetro neanche segnava, abbiamo girato impostando la macchina a 800 ISO. In ogni caso, la qualità della macchina da presa, come la qualitá degli obiettivi, per me sono secondari. L’illuminazione e la composizione sono gli elementi più importanti, come la maggior parte dei direttori della fotografia sanno.
La tecnologia è un mezzo e come tale è cambiato, cambia e continuerá a cambiare, ma la capacità di creare immagini che abbiano qualità artistiche e simboliche, continuerá ad essere il compito principale del DoP. Abbiamo affrontato molti cambiamenti nel mondo della tecnologia. Ma l’arte di illuminare, dei movimenti di macchina, del colore, del tono e della composizione sono gli strumenti di base della nostra professione.
Come gestire le esigenze di una tecnologia in costante evoluzione, senza trascurare il problema estetico della nostra arte cinematografica?Suggerisco di rieducarci nel campo creativo, per imparare a valutare il nostro lavoro dal punto di vista tecnico, mentre lavoriamo costantemente per elevare gli standard della narrazione visiva ai massimi livelli possibili.

Vilmos Zsigmond

apparso su ADF

(traduzione Matteo Scaranello)

 

 

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