GIANFILIPPO CORTICELLI – DoP –

GIANFILIPPO CORTICELLI – DoP –

Recentemente Gianfilippo Corticelli è stato il trainer del workshop  Film DoP, un workshop dedicato al lavoro del Direttore della Fotografia on set e post-production.

Le clip alla fine dell’intervista sono il backstage e il prima e dopo l’intervento di color correction (grazie ad Alessandro La Fauci e alla Grande Mela, nella persona di Andrea Red).

A Gianfilippo abbiamo rivolto qualche domanda.

Ci sono dei film, dei pittori, dei direttori della fotografia che ti hanno ispirato e che sono stati formativi per il tuo fare fotografia?

Per quanto riguarda i film potrei citarne tanti ma sicuramente il primo che mi viene in mente è Apocalypse Now. Ho avuto la fortuna di vederlo in America quando è uscito nel 1979 e lo spettacolo della proiezione perfetta, lo schermo gigantesco, la qualità del sonoro che mi faceva sentire gli elicotteri passare sopra la mia testa, a me che venivo dalle proiezioni nelle sale italiane degli anni 70, sicuramente mi hanno affascinato non poco contribuendo a farmi decidere di voler provare a entrare nel mondo del cinema. Tutto questo senza nulla togliere al film che ancora oggi mi sembra non invecchiare mai, sopratutto a livello visivo. Il rapporto tra luce e ombra, la profondità delle ombre che arriva spesso sino al confine del nero assoluto sicuramente mi hanno influenzato parecchio. Quindi Apocalypse Now, Vittorio Storaro, Caravaggio sono sicuramente dei punti fermi.

Come hai iniziato?
Ho cominciato per caso, frequentando un corso di cinema a Bologna che mi fatto capire che questo lavoro poteva piacermi. 

Nei 3 gg. di workshop abbiamo avuto la sensazione che hai una visione netta rispetto al passaggio dall’analogico al digitale nel cinema. Come la vedi?
Mi ritengo fortunato per aver cominciato e per aver conosciuto la pellicola per poi vivere questo passaggio epocale al digitale. Un passaggio traumatico, con un mondo che scompare trascinando spesso con sè professionalità ed eccellenze che ora dovranno trovare altre strade: penso alle persone che lavoravano o che ancora lavorano nei laboratori di sviluppo e stampa, a quelle che lavoravano o che ancora lavorano in Fuji, Kodak. Per me come d.o.p. cambiano sicuramente molte cose, devo sicuramente aggiornarmi e studiare il nuovo mezzo ma posso anche apprezzare i molti lati positivi. E ce ne sono tanti: per me è molto importante rivedere il prima possibile il girato a mente fredda,lontano dalla velocità e dall’adrenalina del set, per capire se la strada scelta è quella giusta, se certe soluzioni possono essere migliorate. In una location dove si gira per tre giorni se ho un riscontro immediato dopo il primo giorno posso decidere di apportare modifiche, di perfezionare certe scelte o di continuare come ho cominciato. Con la pellicola negli ultimi tempi girando fuori Roma mi arrivava un dvd con immagini molto compresse dopo anche una settimana, con una color a luce unica, con il digitale posso rivedere la sera stessa il girato della giornata su un tablet, con alta qualità che è la stessa che vedrà il montatore e su cui poi lavorerà il regista. Posso discutere delle mie scelte con il regista o con altri capireparto non descrivendo a parole come verrà una scena (più luminosa, più scura, più colorata etc.) ma semplicemente utilizzando il monitor che riproduce già fedelmente il lavoro che ho impostato sul set. So anche che alla centesima proiezione il dcp proietterà il film con la stessa qualità della prima, mentre già alla terza o quarta proiezione in pellicola comparivano righe, spuntinature, sporcizia varia. Se giro in raw, per esempio, posso decidere dopo, in fase di color, sensibilità e temperatura colore. Girando in digitale ho la possibilità di girare con parco luci più piccolo sfruttando la notevole sensibilità del mezzo. E’ comunque chiaro che il motore di questa rivoluzione non sono questi aspetti tecnici ma sono quelli economici, che sono tanti e importanti e che hanno accelerato e reso inarrestabile questo processo.

Da qualche settimana è nelle sale  ‘Allacciate le cinture’, l’ultimo film di Ferzan Opzetek. Non è il primo film che fai con lui; La finestra di fronte, Cuore sacro, Saturno contro… I vostri film sono particolarmente colorati, vivi, ma sono portatori, anche, di una certa dose di malinconia. Come lavorate insieme?

Ferzan cerca sempre di mettere vita nei suoi film, e per vita intendo episodi rubati alla vita di tutti i giorni sua e delle persone che lo circondano. E per lui vita significa anche colore. Non so se la cosa nasca dalla sua cultura orientale o semplicemente da un suo gusto personale ma non riesce ad apprezzare un film privo di colore. In questo film mi ha chiesto addirittura di esagerare, volendo mettere in risalto l’estate, il calore di Lecce, togliendo ogni traccia di freddo. La modalità di lavoro con lui è la seguente: fa arrivare gli attori sul set e prova la scena con loro. Una volta deciso come articolare la scena li manda al trucco e si decide come girarla, dove mettere la macchina o le macchine, quante inquadrature fare. Per evitare di perdere troppo tempo faccio in modo di preparare la location il giorno prima, facendo mettere canne sul soffitto per appendere luci, portando la linea elettrica e posizionando alcuni pezzi in modo che quando gli attori tornano dal trucco è già tutto pronto per girare. Questo era per Ferzan il primo film in digitale. Credo che abbia vissuto il passaggio senza traumi e che abbia apprezzato i vantaggi del digitale.

Come hai sviluppato il progetto fotografico? Cosa ti ha ispirato? Perché hai deciso di girare con due macchine diverse come Arri Alexa e Red Epic? Che prove tecniche hai fatto prima di iniziare il film?  Che lightinig equipment hai scelto e perche’? Quale scena ricordi con particolare affetto/effetto fotografico e quale con particolare ‘difetto’…? L’intervento in post: che hai fatto?

Allacciate le cinture racconta due periodi della vita dei protagonisti separati da tredici anni. Mi sono posto la domanda se distinguerli visivamente e come. Ma parlando con Ferzan abbiamo deciso di non differenziarli, lasciando soltanto al trucco e all’aumento o alla perdita di peso degli attori il compito di segnare il passaggio temporale. Come ispirazione ho preso un recente film francese, Les Adoptes di Melanie Laurent, per le atmosfere e per l’uso della poca profondità di campo. Il film è tutto girato con Alexa, ho utilizzato Red Epic soltanto per la sequenza iniziale dovendo passare da 48 a 24 fotogrammi in diretta, cosa non possibile con Alexa. Prima di iniziare il film ho comparato diverse serie di ottiche per arrivare a scegliere Cooke S4 e S5. Con il colorist e il dit abbiamo scelto e elaborato una lut appropriata che avremmo utilizzato in ripresa e poi in postproduzione. Per quanto riguarda il parco luci avevo un 6.000 arrisun hmi, 3 jumbo aircraft, kinoflo vari, incandescenza varia dal 5000 in giù, qualche arrisun più piccolo (4000, 1200, 800, 400). Per la scena iniziale con la pioggia ho utilizzato un 18000 arrisun montato su una gru. Nella stessa location, una stalla trasformata in abitazione, con soffitto a volta, lunga e stretta e con finestre piccole, posso descrivere le due scene difetto-affetto. Con il protagonista che partendo dall’esterno di giorno entra in piano sequenza, attraversa tutta la location durante una festa, aggancia la protagonista che ci fa uscire in esterno da un’altra uscita. Sento sempre l’interno soffrire, da dentro non potevo mettere niente avendo un soffitto a volta che mi impediva di appendere le luci, ho messo i jumbo da fuori ma le finestre abbastanza piccole non facevano passare abbastanza luce. Questa è la scena difetto. Nella stessa location a festa finita, di notte, con tutti gli attori seduti all’interno la luce è quella delle lampade di scena scelte assieme all’arredatrice. Un mio vecchio pallino, avere luci di scena che funzionino per la scenografia e per la fotografia. E questa è la scena affetto. In post abbiamo messo skin tone sui visi delle attrici quando serviva, bilanciato le inquadrature all’interno di una scena, sia a livello di luminosità che di croma.

Cosa senti di dire ad un ragazzo che vuole intraprendere la carriera di DoP?

Il lavoro del dop è così personale, può essere fatto seguendo metodologie così diverse che non è facile rispondere all’ultima domanda senza correre il rischio di generalizzare. Potrei senz’altro dire di crearsi un proprio gusto personale, una cifra stilistica fatta dalle cose (foto, film, pittori) da portarsi sempre appresso, di non avere paura anche a scegliere strade rischiose (a patto di crederci), di documentarsi tanto e di non smettere mai di farlo.

Vai alle clip

 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. cookie policy

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi