PINOCCHIO

PINOCCHIO

ovvero
la fiaba della luce

Sin dai primi lungometraggi, il crudo realismo di Matteo Garrone ci regala un dualismo che pone ad un estremo la rigorosa ricerca formale – che a volte sfocia nell’immagine astratta – e all’altro capo la riproduzione neutra della realtà, senza rinunciare per questo a mettere l’accento sull’incertezza esistenziale. Uno stile che, agli esordi, l’autore raggiunge praticando il metodo della troupe ridotta, delle scene ambientate in location dal vero, del suono in presa diretta e della macchina da presa utilizzata a mano, spesso dallo stesso autore: una cifra poetica che Garrone ha coniato insieme al compianto Marco Onorato che, ad eccezione di ‘Estate romana’, ha fotografato tutti i suoi film fino a ‘Reality’. I rimandi alla struttura fiabesca sono presenti nei film di Garrone già in ‘Primo amore’, e poi in ‘Reality’: nel primo, Sonia, interpretata da Michela Cescon, è vittima dei giochi seduttivi di un uomo-mostro totalmente privo di intelligenza emotiva, audace e intrigante come lo è il lupo di Cappuccetto rosso, mentre in Reality il protagonista, Luciano, si fa accecare dall’illusione del successo frivolo della televisione come accade al Pinocchio incantato dal Paese dei balocchi.  Nel “Il racconto dei racconti”, primo imponente lungometraggio firmato da Garrone di derivazione favolistica, è posto in evidenza il pretesto che consente al regista di scovare il reale nel grottesco in una sorta di procedimento inverso rispetto ai film che ne hanno segnato l’esordio e conclamato il successo, e i suoi personaggi fantastici presentano ancora le tracce di quell’umanità indagata nei film di impianto realistico. Tuttavia Garrone riesce comunque sempre a corredare i suoi personaggi di un animo turbato e turbante pur non tralasciando di osservare la meraviglia che provano aggirandosi nei meandri del plot.

Il codice visivo di “Pinocchio”


Pinocchio”, di cui l’autore si dichiara innamorato sin dalla prima infanzia, è forse la fiaba che più gli consente di mettere in scena la fragilità, l’illusione, la ribellione. Fedele trasposizione del libro, il film si regge sulla metafora della difficoltà di accettare quel cambiamento di rotta che porta l’infante a divenire adulto, quel gesto d’amore rituale che cambia il corso della vita. L’accento è qui posto ancora sulla meraviglia ma il regista ritrae anche un paese inventato (ma non troppo) in cui agisce l’Uomo-Geppetto costretto dalla vita a misurarsi con la povertà e la solitudine.  Si tratta sicuramente di un film d’autore e nel contempo popolare che incanta e sorprende ma che presenta un mondo reale e quella poesia che è il corredo naturale delle vite conquistate. Il codice visivo è caratterizzante e sostiene nel migliore dei modi l’indagine sui vizi e le difformità ma riesce a sostenere anche quella magica dolcezza che ha reso la fiaba di Collodi un testo universale. Un impianto che, a partire dal gusto singolare dell’autore, viene alla luce anche grazie al lavoro della scenografia, del trucco, del costume e della fotografia.

Nicolaj Brüel

Nicolaj Brüel è un cinematographer danese che si afferma nel 2013 con il film di fantascienza ‘The machine’ diretto da Caradog W. James. L’incontro artistico con Matteo Garrone risale al 2016 quando fotografa lo short ‘Before design’ e si consolida l’anno successivo con ‘Delightful’, brevi ma ricchi filmati messi in opera per rappresentare – nel secondo dei due – il rapporto fra Natura e Design per il Salone del Mobile edizione 2017 a Milano. Il sodalizio è suggellato dal lussuoso short movie ‘Entering Red’ la campagna per la Campari che celebra i 100 anni del Negroni. Nel 2018 vince il David di Donatello per il film ‘Dogman’, film che per verti versi integra la ricerca stilistica iniziata da Garrone con Marco Onorato (lo storico DP con cui Garrone ha sempre lavorato, deceduto nel 2012). Lo scorso anno la non facile prova di ‘Pinocchio’.

Una precisa integrazione sul set fra scenografia e luci?Il Pinocchio di Matteo Garrone, come del resto quello di Comencini, è un film che si colloca al centro tra la favola e la realtà. Quali sono stati gli input che hanno definito lo stile visivo??
Per me il film inizia quando leggo la sceneggiatura per la prima volta. È in questo momento che le immagini iniziano a formarsi nella mia testa. Mi prendo del tempo per leggerla cercando di non perdere le prime impressioni che mi vengono in mente. La base del linguaggio visivo per me inizia qui: in un certo senso si può dire che la sceneggiatura decide come mostrarsi…? Nel caso di ‘Dogman’ e ‘Pinocchio’ sono stato fortunato a lavorare con lo scenografo Dimitri Capuani. Su Pinocchio avevamo un’idea abbastanza precisa dei colori dominanti che avremo utilizzato per il set e per le luci. Dimitri ha fatto un’incredibile anteprima, ha sovraimpresso disegni digitali sulle foto delle location. È stato un modo molto efficace di vedere se ciò che avevamo in mente avrebbe funzionato nella realtà. Per Matteo e per me è stato un percorso abbastanza difficile, abbiamo provato a rimanere fedeli al racconto di Collodi, che è molto violento e cupo, e allo stesso tempo renderlo adatto ad un pubblico di bambini. Personalmente non penso che i bambini si spaventino se ci sono alcune immagini cupe. Penso che la loro abilità di capire e apprezzare un linguaggio visivo ricco, sia più sofisticata di quanto noi pensiamo. Al contrario penso che la loro immaginazione sia ancora ricca e intatta e credo che amino veramente guardare film ricchi e di larghe vedute.

Rispetto alla tua collaborazione con Matteo Garrone, tra Pinocchio e Dogman c’è una grande differenza stilistica. Questo ci fa pensare che hai la qualità di saper plasmare il tuo lavoro in funzione del copione che ti viene proposto. Hai un metodo per mantenere coerenza stilistica all’interno di un’opera?
Credo che sia importante che il modo in cui il film viene girato segua o si adatti sempre alla storia. Non dovrebbe mai sopraffarla ma dovrebbe supportarla. Penso che se rimani fedele alla prima impressione che la sceneggiatura ti ha suggerito, stai andando verso la giusta direzione.

Ci sembra di poter dire che, rispetto a Dogman, Pinocchio è un lavoro produttivamente più ricco. Ti va di mettere a confronto l’equipment dei due film?
Pinocchio ha avuto una produzione più grande rispetto a Dog man, su tutti i livelli. Abbiamo comunque provato a girare anche Pinocchio nel modo più semplice possibile. In entrambe le produzioni il comparto macchina è stato identico: abbiamo utilizzato 2 Alexa Mini, una montata sulla Steadicam e una pronta per essere usata a mano o sul Dolly. Abbiamo girato principalmente con una camera alla volta. Negli esterni notte, mentre su ‘Dogman’ l’illuminazione è stata estremamente semplice, con poche sorgenti professionali posizionate sui tetti e qualche luce di scena facente parte della location dal vero, questa scelta non era adatta per Pinocchio perché si tratta di un film storico e ovviamente le luci elettriche non si potevano utilizzare. Abbiamo avuto scene di notte in campagna in cui non potevamo fare altro che riprodurre la luce lunare. Per queste scene abbiamo utilizzato delle gru mescolando sorgenti diffuse e puntiformi, cioè morbide e dure. Il capo elettricista, Alessandro Bramucci, ha montato 2 palloni illuminanti con una temperatura colore i 4000K sotto il cestello delle gru e 1 o 2 riflettori per lampade a scarica HMI M90 o M40 (di ARRI) a seconda della dimensione dell’area che dovevamo coprire.

In Pinocchio hai utilizzato la serie Cooke anamorphic abbinata al sensore Arri Alex Mini, ci puoi raccontare la motivazione della scelta?
In una delle prime conversazioni che ho avuto con Matteo Garrone riguardo a Dogman, mi ha detto che lo aveva immaginato come un Western moderno. Perciò la scelta di utilizzare lenti anamorfiche. Matteo aveva anche il desiderio di trovare un modo di mostrare ampiamente il villaggio vicino a Napoli in cui abbiamo girato, non solo per mostrarne la sporcizia e la decadenza ma anche per mostrarne la bellezza. Le lenti Cooke SF hanno una patina più morbida e perciò regalano una sensazione più romantica: le avevo appena utilizzate per una pubblicità e ho pensato che ci avrebbero aiutato ad aggiungere un po’ di fascino e ad ammorbidire un ambiente che rischiava di essere troppo duro. Penso abbia funzionato bene! Nella scelta delle lenti per Pinocchio ho utilizzato un approccio simile. Volevamo rappresentare una storia piuttosto cupa e allo stesso tempo donarle fascino, magia. Pinocchio non dovrebbe restituire una sensazione troppo brusca, doveva essere più morbida. Per questo abbiamo continuato ad utilizzare le lenti Cooke SF.

In Pinocchio c’è un uso massiccio del cosiddetto prosthetic makeup, il trucco prostetico che prevede l’uso di protesi scolpite, stampate o fuse che creano effetti cosmetici avanzati. Come lo hai affrontato?
Grazie a Mark[1] e al suo team non ho dovuto apportare nessun cambiamento al set up di luci per andare incontro al make up prostetico. Hanno fatto un ottimo lavoro, è stato un piacere lavorare con loro.

In Italia hai lavorato spesso con lo stesso Digital Imaging Technician Francesco Scazzosi. Quale contributo chiedi al DIT che ti affianca in un lavoro?
Lavorare con il digitale è completamente diverso che lavorare con la pellicola. Quando usa la pellicola il DoP è il solo che conosce il risultato finale del girato. Quando utilizzi la camera digitale l’immagine diventa immediatamente fruibile a tutti su un monitor ad alta definizione e ognuno è in grado di farsi un’opinione. Per me è importante avere in qualche modo il controllo di ciò che viene fuori dal set, non solo la Lut 709 ma anche la visione che ho della scena, perché è fondamentale che il regista veda sul suo monitor un’immagine il più possibile simile alla sua visione e quindi al risultato finale. Nel caso di Pinocchio, le Lut che ho creato per le varie sequenze del film hanno permesso a Mark Coulier e al suo team di affidarsi al canone visivo mostrato sul monitor. Per esempio, abbiamo potuto capire se una maschera fosse troppo luminosa o avesse troppo arancio affidandoci all’immagine del monitor. Questo tipo di approccio ovviamente funziona in base alla tua abilità di mantenere un workflow preciso, quasi analitico, e i monitor devono essere perfettamente calibrati ecc… Il mio lavoro inizia prima delle riprese e finisce solo dopo il controllo del master finale nel cinema. Per questi due film ho messo tutto questo nelle mani di Francesco Scazzosi, che ha fatto un gran lavoro.

Quale contributo chiedi al Colorist?
Angelo Francavilla è stato il colorist sia di ‘Dogman’ che di ‘Pinocchio’. Un buon colorist deve essere un genio tecnico, deve conoscere il proprio materiale e lavorare veloce. È anche la persona a cui rivolgersi quando perdi la strada hai bisogno di supporto e consiglio. Su Pinocchio abbiamo lavorato per 6-8 ore al giorno, al buio, perché avevamo scadenze molto strette. Avremo preso almeno 1000 cappuccini al bar all’angolo mentre cercavamo di bilanciare il colore delle scene a occhio nudo. Alla fine tutto il lavoro fatto nel settare le Lut nella camera ha portato i suoi risultati. Tutte le decisioni riguardo al canone visivo erano già state prese. Per questo motivo durante la color correction non è stato necessario ripartire da zero. La tua visione era già lì… anche se ovviamente quando il film viene montato può essere necessario fare dei piccoli ritocchi per amalgamare il tutto.

[1] Mark Coulier è stato special makeup effects artist di Harry Potter e ha vinto due premi Oscar per ‘Gran Budapest Hotel’ e ‘The iron lady’.

‘PINOCCHIO’ (2019)
director: Matteo Garrone
cinematorapher: Nicolaj Brüel

Technical specifications:
Camera: Arri Alexa Mini Lenses: Cooke anamorphic lens Negative format: CFast 2.0 Printed format: DCP

di Stefano Di Leo
a cura di Alessandro Bernabucci

 

 

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