KEY LIGHT – Luce e Cinema XI
E’ online l’XI articolo della rubrica curata da SHOT Academy ‘Key Light: Luce e Cinema’ pubblicato sulla rivista ‘Luce & Design‘.
L’attesa
ovvero
la luce dell’assenza
Nonostante la giovane età, il direttore della fotografia Francesco Di Giacomo è forte di una solida esperienza maturata nel mondo professionale.
D’estrazione cinematografica – il papà è Franco Di Giacomo, tra i più affermati direttori della fotografia del cinema italiano dagli anni settanta; la mamma è la segretaria di edizione Eleonora Pallottini; il nonno il direttore della fotografia Riccardo Pallottini – inizia a lavorare a metà degli anni novanta con il ruolo di 2nd assistant camera nel film “Romanzo di un giovane povero” di Ettore Scola.
Nel 2002 esordisce alla fotografia nella breve narrazione di Laura Bispuri intitolata “Un uomo indietro”, a cui segue il lungometraggio “Sangue”, di Libero De Rienzo.
Con il suo lavoro alla fotografia nel 2013 per il film “Il Terzo tempo”, il suo tratto fotografico essenziale si sovrappone perfettamente al testo crudo e realistico del regista Enrico Maria Artale. Poi, lo scorso anno, abbiamo “L’attesa”, presentato in concorso alla 72a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
“L’Attesa” è un film che si svolge in un’atmosfera sospesa, rielaborata da Piero Messina a partire dal raffinato repertorio pirandelliano.
La trama del film è ineffabile, suggerita e la prova fotografica di Di Giacomo tutt’altro che banale. La storia inizia con la descrizione di un funerale. Sin dall’inizio, lo spettatore è travolto dello strazio del personaggio Anna, interpretato da Juliette Binoche, strazio a cui si aggiunge la frustrazione per la morbosità insoddisfatta dal non sapere chi c’è dentro la bara. Ed è la frustrazione, a nostro avviso, la chiave di lettura per intercettare il sentimento di Jeanne, la fidanzatina francese di Giovanni, il figlio di Anna, che arriva in Sicilia proprio il giorno di quel funerale.
Jeanne era stata invitata da Giovanni a trascorrere un periodo nella sua splendida villa ragusana, ma Giovanni non lo incontrerà mai. Resterà in Sicilia in compagnia di Anna che la convincerà, giorno dopo giorno, a rimandare la partenza e a rimanere in attesa del ritorno del figlio: la ragazza vivrà per giorni in un torpore quasi farmaceutico dove la noia, la rabbia e il dolore prenderanno corpo dallo sguardo sulla sontuosità della villa e sulla solitudine di una madre triste e piena di mistero.
Per tutto il film, il rapporto tra Anna e Jeanne – interpretata da Lou De Läage – è alimentato e al tempo stesso logorato dalla misteriosa assenza di Giovanni il cui motivo, pur senza mai svelarsi inequivocabilmente, immerge lo spettatore nel senso della terribile tragedia della morte di un figlio. E anche quando Jeanne chiederà con forza di vedere il fidanzato, Anna le nasconderà la verità nel disperato tentativo di rinviare la propria consapevolezza.
La lieve trama del film è sostenuta dalla ricerca di una dimensione sensoriale raffinata e funzionale. Anche il rapporto secondario tra Anna e Pietro, l’inserviente interpretato daGiorgio Colangeli, è incentrato sullo sviluppo del non detto più che puramente testuale.
La messa in scena è utilizzata per esplorare il senso infinitamente tragico del film in un potente gioco di rimando tra guardare ed essere guardato; in una serie di quadri a luce rarefatta che sembrano riecheggiare e al tempo stesso reinterpretare la lezione viscontiana, dove il narrato giunge allo spettatore attraverso i saloni secenteschi di Villa Fegotto e l’asperità della campagna circostante e la nebbia mattutina che sembra chiudere la narrazione in un luogo senza vie d’uscita. Senza che mai quella morte terribile venga dichiarata a livello testuale, il graduale avvicinamento tra le due donne, che via via presenterà i connotati dall’amicizia, contiene in sé una preziosa ambiguità che, crediamo, sia stata fonte di ispirazione per Piero Messina e Francesco Di Giacomo: Anna protegge la giovane Jeanne dalla scoperta del suo primo incommensurabile dolore e, insieme, vede in lei l’incarnazione dell’esistenza di suo figlio in vita. E Francesco Di Giacomo, a nostro avviso, è riuscito nella difficile impresa di centrare il lavoro fotografico, di fornire un’aderenza stilistica in un racconto posto prevalentemente a livello di sotto-testo proponendo delle atmosfere che, ci permettiamo di dire, dimostrano una maturità artistica e professionale degne di nota.
L’ATTESA (2015)
Director of Photography: Francesco Di Giacomo
TECHNICAL SPECIFICATIONS
Aspect ratio: 2,35 : 1
Per approfondimenti
https://www.facebook.com/lattesailfilm/
http://film.cinecitta.com/IT/it-it/news/70/1146/qualcosa-di-noi.aspx
http://www.imdb.com/name/nm1000724/
http://www.cinemaitaliano.info/pers/016856/francesco-di-giacomo.html
Il punto di vista del direttore della fotografia
FRANCESCO DI GIACOMO
Sei dotato di quell’ottima qualità che ti permette di plasmare il tuo lavoro in funzione del copione che ti viene proposto. Hai un metodo per mantenere coerenza stilistica all’interno di un’opera?
“Diciamo che ho un metodo che si sviluppa in diverse fasi. La prima fase, che è forse la più importante, è la preparazione: individuare il tono, i contrasti, i colori del film e, lavorando con il regista, cercare i riferimenti cinematografici e pittorici più adatti per avere un punto saldo da cui partire. In questa fase, penso sia indispensabile il coinvolgimento dello scenografo e del costumista. Una volta individuato lo stile – o nella speranza di averlo individuato – cerco poi di definire con il regista un canone fotografico e di composizione delle inquadrature, e quindi di definire assieme a lui delle regole da rispettare con rigore durante le riprese, ma rimanendo sempre disponibili alle ispirazioni estemporanee”.
In fase di progettazione, come hai lavorato con Piero Messina? Ossia: come hai definito lo stile fotografico del film?
“Secondo me, lo stile fotografico è proprio di ogni film. Mi piace in realtà l’idea di non avere un unico e personale stile e di essere in grado di caratterizzare ogni film in modo diverso. Cerco sempre di capire, nel profondo, quale atmosfera il regista ha in mente per il suo film e, interpretando la sua visione, cerco di arricchirla con le mie suggestioni, esponendo sinceramente, quando ci sono, i miei dubbi”.
Per seguire l’andamento drammaturgico del film, hai immaginato un percorso fotografico?
“L’attesa” è un film con una struttura sicuramente libera, ma proprio per questo il percorso fotografico è stato molto legato alla sceneggiatura; per ogni scena è stata proposta una determinata atmosfera perché, se non fosse stato così, la narrazione ne avrebbe risentito. L’immaginario del film, la bellezza delle location e la narrazione così sospesa, hanno reso possibile un lavoro di ricerca dove la luce naturale si combina spesso con un intervento di luce artificiale. Villa Fegotto rappresenta quasi un personaggio nella storia; un luogo/personaggio che interagisce con Anna e che, da sepolcro scuro che era, si trasforma in una casa luminosa con l’arrivo di Jeane, senza perdere quel velo di mistero e sospensione che è la caratteristica principale del film. Per riprodurre la luce del sole siciliano che invade la villa, ho usato solo Jumbo Aircraft 9, (NdR: si tratta di illuminatori con 9 lampade da 1000 W al tungsteno, con tc 3200 K) mentre di notte ho scelto di relazionarmi molto con le luci della scena, rafforzandole con lampade cinesi e altre sorgenti artificiali che ho filtrato con stoffe per diffonderne la luce. Ci sono state sequenze che imponevano un’atmosfera sospesa appunto, quasi metafisica, dove mi sono potuto slegare dal reale, impostando un disegno più elaborato, come nella scena della chiesa. In altre, invece, come in quella della processione, lo stile è stato necessariamente più documentaristico; in una parte di questa sequenza, ad esempio, Juliette Binoche è illuminata solo dalla luce delle torce”.
Sul set hai un tuo metodo di lavoro o il metodo varia da film a film?
“Non credo di avere proprio un metodo. I film, le troupe, i registi sono molto diversi tra loro, cambiano in continuazione. L’unico metodo è quello di avere l’atteggiamento giusto, non tradire la passione e la gioia di fare questo lavoro. È un lavoro che mi piace proprio perché è un atto creativo che si vive in collettività. Mi piace coinvolgere la troupe e ascoltare i loro consigli. L’unico metodo che ho è quello di cercare sempre di fare un bel film!”
Ci puoi raccontare l’equipment che hai messo in campo per “L’attesa”?
“Con ‘L’Attesa’ abbiamo un film dove ci è stato concesso – grande privilegio, ormai! – di avere il giusto tempo di preparazione e di fare molti sopralluoghi. La Macchina da Presa è la Arri Alexa ProRes con lenti Zeiss Ultra Primes, il formato è RAW, un supporto importante per restituire la bellezza dei paesaggi in campo lungo, dei materiali di scena antichi e di texture così preziose. Nelle riprese nella Villa Fegotto ho utilizzato come luce chiave esclusivamente illuminatori Jumbo Aircraft; intorno all’edificio ne avevo 24 ai quali applicavo differenti diffusori e lievissime colorazioni a seconda delle scene. In questo caso, la troupe era composta da cinque macchinisti e cinque elettricisti che hanno fatto un lavoro meraviglioso. I movimenti di macchina sono stati spesso semplici nell’idea ma complicati nell’esecuzione: Luigi Andrei, il camera-operator, e Massimo Lazzara, il capo macchinista, hanno fatto un lavoro incredibile. Non ho usato filtri particolari, ho messo in macchina prevalentemente Neutral Density e Polarizzatori”.
Sandro Magliano è stato il tuo DIT in questo lavoro. Qual è il contributo che chiedi al DIT che ti affianca in un lavoro?
“Ho conosciuto Sandro sul film ‘Il terzo Tempo’ e poi abbiamo fatto molti film insieme. Il DIT, per me, e Sandro in particolare, rappresenta un occhio esterno di gusto affine del quale si deve avere fiducia perché è in grado di analizzare tecnicamente il segnale video soprattutto per cercare l’esposizione ideale in ogni situazione. È la figura che mi permette di sfruttare al massimo il potenziale del cinema digitale, dandomi la possibilità di avere un controllo in tempo reale sull’immagine”.
Qual è stato il contributo della color correction nei film di cui abbiamo parlato?
“La color correction è parte integrante e decisiva del processo creativo di un film. Per “ L’Attesa”, ho lavorato nello stabilimento Grande Mela insieme al colorist Andrea Baracca, con cui collaboro da anni e che stimo moltissimo”.
Progetti futuri?
“Fino a febbraio sono impegnato in un film di Francesco Lucente di produzione americana che s’intitola ‘Starbright’ e che si svolge tra l’Oklahoma e la Louisiana. Dopo, probabilmente, farò ‘Stay Still’, un lavoro tra Germania e Italia della regista Elisa Mishto”.
a cura di Stefano Di Leo, educational manager Shot Academy